Orfeo. Sogno e morte by Luca Tarenzi

Orfeo. Sogno e morte by Luca Tarenzi

autore:Luca Tarenzi [Tarenzi, Luca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Giunti
pubblicato: 2024-01-08T00:00:00+00:00


19

Tentai di alzarmi ma non ci riuscii. Qualcosa mi teneva ancorato al terreno: lo sentivo premere sulle costole, le gambe e gli avambracci. Cercai di sollevare la testa per guardarmi, ma vidi solo erba e muschio. Battei le palpebre, sforzandomi di mettere a fuoco: ero debolissimo. E affamato.

«Sta’ calmo» brontolò Batya. «Ci vorrà un po’.»

«Un po’ per cosa?» provai a dire, ma mi uscì solo un lungo gemito roco.

Chiusi la bocca: la gola mi faceva male. Mi dava la sensazione di non averla più usata per chissà quanto tempo. Fissai Batya, che lavorava con un coltello su qualcosa all’altezza della mia caviglia... che qualche istante dopo fu libera. La mossi, e con la pianta del piede toccai terriccio morbido.

Ma che accidenti...

Ora ero sicuro di vederci bene, anche perché l’aria era limpida e luminosa, eppure scorgevo ancora la stessa distesa gibbosa di erba e muschio che avevo visto poco prima. Agitai le dita delle mani, e notai la coltre di muschio che sobbalzava dove avrebbero dovuto esserci le mie anche.

Ero sepolto nel terreno.

O meglio, uno spesso manto di vegetazione sembrava cresciuto sopra il mio corpo, fino ad avvolgerlo tutto come un grande bozzolo verde. Torcendo gli occhi all’indietro guardai sopra di me: una quercia agitava la grossa chioma nella brezza del mattino, e io ero sdraiato ai suoi piedi, supino, con un fianco premuto contro il tronco. Erano le sue radici ad avvolgermi gli arti e il petto: non le vedevo, erano nascoste sotto il muschio come il mio corpo, ma ora ne sentivo la superficie ruvida sulla pelle.

Hai dormito per un intero ciclo, protetto nell’abbraccio della terra. Così aveva detto la donna con le due coppe. Chiusi gli occhi: era stato davvero un sogno alla fine, una visione. La caduta nel fiume. Le menadi. La mia morte. Il richiamo delle stelle... Non un sogno qualsiasi, però, questo era chiaro. Ma ero stato io a evocarlo, senza tamburi o bevande, solo con la mia disperazione e quella corsa forsennata nella foresta?

Sopra di me Batya continuava a scavare e tagliare, liberandomi pian piano le gambe. Non riuscivo a girare la testa tanto da potermi guardare intorno, ma tendendo l’orecchio sentii il rumore del fiume, vicino. Quello doveva essere il punto in cui ero crollato alla fine della corsa.

Mi concentrai per articolare bene le parole: «Per... quanto...?».

«Un mese» rispose Batya. «La luna piena è stata ieri.»

Un mese.

Un sogno che mi era sembrato lungo solo pochi minuti era durato un intero ciclo lunare. Durante il quale la foresta era cresciuta su di me, nascondendomi, proteggendomi e, in qualche modo che non riuscivo neanche a immaginare, mantenendomi in vita.

C’era un solo essere al mondo che avrebbe potuto fare una cosa del genere per salvarmi.

Batya tagliò l’ultima radice e con pochi rapidi gesti strappò via la copertura vegetale dalle mie gambe. Mi sporsi quanto potei per guardarle: erano pallide come quelle di un cadavere e magrissime. Non sembravano in grado di sostenermi.

Senza scomporsi, Batya passò a liberarmi le braccia.

Deglutii. Avevo una fame da lupi, ma non sete.



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